I due casi della Dalia Nera – Il ritorno di Nick Raider tra finzioni reali e spettri del noir
I due casi della Dalia Nera è costruito a partire dal fatto di cronaca che è forse il più noto real-life noir della storia, ossia il caso cosiddetto della Dalia Nera. Si tratta di uno degli omicidi più efferati dell’intera storia criminale statunitense; la vittima, Elizabeth Short, detta Betty, una ragazza di 22 anni, venne torturata e poi uccisa, con violenti colpi contundenti al capo, verosimilmente inferti con il calcio di una pistola. Quando era ancora viva, le fu praticato un taglio dai lati della bocca fin quasi alle orecchie, noto come “Glasgow smile”, infine, il corpo fu sezionato in due metà, all’altezza della vita: l’operazione venne condotta plausibilmente in una vasca da bagno e poi il corpo fu trasportato fino al luogo del rinvenimento, dove infatti non erano visibili gore ematiche.
Il cadavere fu ritrovato il 15 gennaio 1947, in un lotto non edificato del quartiere di Leimert Park a Los Angeles; immediatamente i giornali cominciarono a riportare con enfasi la notizia, affibbiando alla povera Short il nomignolo di “Black Dahlia”. Il caso della Dalia Nera, tuttora irrisolto, acquista importanza sotto due profili: quello criminologico e quello mediatico-culturale che, per alcuni aspetti, è indissolubilmente intrecciato a quello antecedente. Per ciò che concerne il primo ambito, esso è conosciuto come uno dei più rilevanti cold case della seconda metà del Novecento e non c’è quasi manuale di criminologia in lingua inglese che non lo citi, collegandolo all’una o all’altra teoria criminalistica; l’altra ragione per cui il caso ha assunto importanza in questo settore di studi, è relazionato ad una questione di sociologia criminale: fu talmente vasta l’eco che l’omicidio ebbe sulla carta stampata, che più di cinquanta “mitomani” si autoaccusarono.
Fin da subito, nelle indagini venne coinvolto lo FBI: il Dipartimento di Polizia di Los Angeles si rivolse a Washington il giorno stesso del rinvenimento, al fine di identificare il corpo martoriato; in cinquantasei minuti l’ufficio federale risalì all’identità della vittima grazie alle impronte digitali, acquisite in ben due circostanze: Betty Short infatti, nel ’43, fece richiesta di lavorare presso la base militare di Camp Cooke in California (occasione nella quale le furono presi per la prima volta i rilievi dattiloscopici) e, poco tempo dopo, subì un arresto per ubriachezza (dove le furono estratti per la seconda volta). Lo FBI fu anche in grado di trasmettere in pochi minuti le informazioni richieste, grazie al sistema Soundphoto, una sorta di fax ante litteram, che trovò per la prima volta utilizzo in ambito di polizia giudiziaria proprio con le indagini riguardanti la Dalia; tutto ciò viene riportato dal criminologo sociale Frank E. Hagan nel suo compendio di discipline criminalistiche, che è uno dei più noti nell’area di common law, in uno “specchietto” dedicato al caso: secondo lo studioso, è proprio tramite la documentazione prodotta dallo FBI e resa pubblica con il Freedom of Information Act (FOIA), che ci si può fare un’idea precisa del delitto e delle indagini, anche se non è propriamente completa. Il Federal Bureau per di più, continuò a seguire a distanza le indagini a causa del rilievo mediatico-scandalistico che ricoprì il crimine e per il fenomeno relativo ai mitomani.
Il caso della Dalia Nera non è mai stato risolto risolto Cinquant’anni più tardi, a New Yok, c’è un nuovo omicidio, in tutto e per tutto ricalcato sul precedente: una donna assassinata, E questa volta il caso è affidato al detective Nick Raider, che deve faticare non poco per arrivare alla sconvolgente soluzione di entrambi i casi senza perdere la sanità mentale o la sua stessa vita.
Tuttavia, il caso della Dalia Nera è stato talmente manipolato, da registi, scrittori giornalisti e mitomani che è ormai trasfigurata in qualcosa di diverso: è diventata pura finzione. L’unico modo per giungere ad una soluzione del delitto era affidare le indagini ad un personaggio che fosse altrettanto di finzione: Marlowe, Sam Spade, o Nick Raider. Solo così si poteva arrivare a capo dell’intrico
Lo sceneggiatore Claudio Nizzi ha inserito il suo Nick Raider in una torbida vicenda di amore, sesso, morte e misteri insoluti. Una storia frenetica e appassionante, dove c’è spazio soltanto per sangue, desiderio, perdizione e tragedia, fino allo sconvolgente finale.
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